STORIE DI MARY JANE: IL SEQUESTRO

STORIE DI MARY JANE: IL SEQUESTRO



Peter non era molto diverso da molti altri giovani della sua età: era impiegato in ospedale con una paga mensile decente, innamorato della sua nuova compagna con la quale condivideva una casettina in affitto, proprietario di un’auto sportiva che si era potuto permettere dopo anni di sacrifici e che considerava un piccolo lusso, se pur inutile e superfluo, in qualche modo desiderato. Vi erano anche altri aspetti della vita di Peter, celati agli occhi del mondo e conservati nel passato, che facevano di lui una persona peculiare: un’infanzia trascorsa in un collegio di preti dopo essere stato allontanato dalla propria famiglia, una ex moglie che lo aveva sposato solamente per acquisire l’indipendenza dalla casa dei genitori (e che lo aveva trascinato in pratiche di divorzio senza fine dopo solamente breve tempo dalle nozze), e lo scioglimento della band nella quale suonava la chitarra e che sembrò simboleggiare la svolta della sua vita. Ma, dopotutto, Peter trovava sempre qualcosa di cui gioire e una nuova motivazione per continuare a condurre le sue giornate in armonia. Un dì, però, accadde qualcosa che, aggressivamente e inaspettatamente, ruppe la quiete dell’ordinario quotidiano. Era un caldo pomeriggio di fine primavera e, dopo una faticosa settimana di lavoro, Peter decise di godersi qualche svago con la sua compagna. Mentre posteggiava il suo Beta Coupé nel parcheggio che costeggiava la banca, era ancora intento a decidere sul da farsi: una gita al lago? Una serata al cinema? O magari una cena al ristorante? Sapeva che Tina avrebbe gioito anche di una semplice passeggiata al parco del paese, ma lui voleva regalarle qualcosa di diverso, un’esperienza che non erano consoni vivere ogni giorno. Prelevò un po' di contante allo sportello, uscì dalla banca ancora sovrappensiero e si diresse verso l'autovettura. La sua sbadataggine non gli diede il tempo necessario di notare una coppia, un uomo e una donna, nelle vicinanze della sua macchina, in attesa del proprietario. Non appena inserì la chiave nella serratura della portiera una voce alle sue spalle gli ordinò “Siediti sul sedile posteriore. Svelto, muoviti!”. Dopo aver pronunciato queste parole, l’uomo appoggiò la canna della sua mitraglietta contro la schiena di Peter, incoraggiandolo a sistemarsi sul retro e a consegnare le chiavi della macchina alla donna che avrebbe provveduto a guidare. Cercando di conservare la calma, Peter chiese ai sequestratori dove lo stessero portando. Non aveva idea di quale piano avessero in serbo per lui, se l’avrebbero ucciso o semplicemente ferito e lasciato sul ciglio di qualche strada, ma pensava che forse il loro unico interesse fosse la macchina. Si premurò di dire loro che potevano tenere la vettura, che poco gli importava di riaverla; voleva solamente poter ritornare a casa e riabbracciare Tina. I due erano piuttosto silenziosi, e la mitraglietta puntata allo stomaco non lasciava modo di ragionare in totale lucidità. Forse avrebbe potuto tentare di aprire la portiera e buttarsi dal veicolo in corsa, ma il dito dell’uomo brandiva il grilletto così serratamente che sarebbe stato più rapido lui ad aprire il fuoco e ferirlo a morte. Continuare a fare domande avrebbe solamente irritato la coppia di malviventi che, molto probabilmente, erano già estremamente euforici. Decise di attendere e di tenere gli occhi bene aperti sulla strada; forse una casualità fortuita avrebbe potuto salvargli la pelle. I due sembrava volessero raggiungere Milano attraverso la strada statale anziché l'autostrada, sicuramente per evitare le telecamere di sorveglianza ai caselli. Il traffico giocò loro un brutto scherzo, e si trovarono a dover fermare la macchina ripetutamente a causa di un incolonnamento alle porte della superstrada. A quel punto, ebbero il timore che qualcuno potesse accorgersi del sequestro o che qualche pattuglia potesse fermarli e scoprire la malefatta. Dopo alcuni interminabili minuti, Peter fu istruito sul da farsi: avrebbero accostato nei pressi della casa circondariale, e lui sarebbe sceso dalla macchina e avrebbe cominciato a camminare verso la direzione opposta, come se nulla fosse accaduto. Peter obbedì agli ordini; scese con fare disinvolto e s’incamminò verso il paese. Il centro si trovava ad una distanza di almeno un chilometro e mezzo, e il sole era cocente. Fortunatamente, una volante dei carabinieri si trovava di pattuglia da quelle parti. Sollevò le braccia al cielo chiedendo agli agenti di fermarsi e, dopo aver raccontato sommariamente l'accaduto, fu condotto in centrale per verbalizzare il tutto. Venne accompagnato a casa e poté, finalmente, abbandonarsi nella sicurezza che quelle mura e, soprattutto, il volto della sua compagna suscitavano in lui. Il giorno seguente Peter ricevette novità sul caso: la coppia, dopo averlo lasciato scendere dal veicolo, rapinò una banca di uno dei paesi limitrofi per poi dirigersi a Milano e abbandonare la macchina, ormai malridotta, nella periferia. Peter era solamente felice di poter vivere un altro giorno insieme alla sua amata, e tirava un sospiro di sollievo ogni qualvolta gli eventi di quell’esperienza affioravano alla mente. Negli anni successivi si premurò di non raccontare quell’episodio alle sue bambine, ma mai capì perché Peter non lo fece. Non avrei potuto che essere orgogliosa del mio coraggioso papà!


Martina

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