STORIE DI MARY JANE: ETEREO

 STORIE DI MARY JANE: ETEREO


La fatica si faceva dolorosa nelle membra, e i pensieri erano così pesanti da attanagliare la mente. L'asettico grigiore della metropolitana era talmente plumbeo che mi sentivo soffocare. Quelle giornate alla rincorsa degli spiccioli per pagare le bollette a fine mese non avevano alcun senso; ero una tra le tante anime dagli sguardi vuoti che vagavano come formiche laboriose da una parte all'altra della città. Seduti in fila su di quei freddi sedili, ci spegnevamo lentamente come fiamme tremolanti, quasi fossimo tutti vittime del medesimo destino. Forse esageravo con il mio filosofeggiare senza senso poiché i miei compagni di viaggio sembravano trovar motivazione ed interesse nell'infinito susseguirsi di posts e fotografie sulle piattaforme social, mentre io non riuscivo a concentrarmi nella lettura del libro che, oramai, giaceva sulle mie gambe inerte e aperto alla stessa pagina che avevo riletto più volte. Non potevo ignorare la voce della mia coscienza riecheggiare incessantemente; si faceva greve ed insistente, e mi poneva talmente tante domande da limitare la mia concentrazione. Finalmente il treno si avvicinava alla mia fermata. Sapevo già che avrei percorso le stesse strade, notato gli stessi palazzi e le stesse vetrine per poi girare la chiave nella toppa e varcare la soglia del mio appartamento. A quel punto, il mio cuore finiva di sussultare e finalmente tiravo un sospiro di sollievo alla vista dei miei mici e del mio cagnolone. Era una tiepida notte di primavera e pensavo che ne sarebbe valsa la pena di accucciarmi sul gradino del cortiletto per scrutare le stelle. Perché abbiamo perso l'abitudine di sognare sotto la volta celeste? Quale sarebbe il piacere del quotidiano vivere, se nemmeno abbiamo il tempo di riflettere sulla bellezza e sulla vastità dell'universo? A che serve possedere ricchezze che ci rendono schiavi del despota da noi stessi creato, il denaro? Sorridevo degli uomini che si beano dei loro possedimenti e della loro fama basata su di attitudini e morali così false e spicciole! A che serve la notorietà se essa stessa non si basa su un reale, amorevole e disinteressato contributo all'umanità? Perché accanirsi nella ricerca del significato della vita quando non vogliamo accettare la vera ragione per cui noi esistiamo (nascere, crescere, generare altra vita e morire)? Sembrerebbe una spiegazione molto povera, ma per le leggi della natura non siamo progettati per generare denaro, incularci a vicenda, mentire gli uni agli altri, giudicarci sulla base delle percezioni personali e farci vanto di ciò che siamo o ciò che abbiamo. Siamo stati ingannati dalla nostra stessa avidità e avarizia, al punto da non essere più nemmeno in grado di guardare negli occhi i fratelli meno fortunati e tendere loro una mano di amore incondizionato. Mi venivano i brividi al pensiero dell'umanità come concezione, non solo moderna, ma di ogni società basata su distinzioni di classe. Che cosa sono io? Io sono tutto e io sono niente. Sono solo un cervello troppo stanco di vedere, sentire e assaporare; sono solo un cervello prigioniero di un corpo che, a volte, non mi sembrava nemmeno di comandare. Versavo fiumi di lacrime amare quando cercavo di fuggire dall'oblio e, una volta fuori, mi guardavo intorno spaesata ed insensibile. La mano si avvicinava alle labbra per accendere lo spinello. Inalavo ed esalavo a pieni polmoni nella disperata ricerca di pace interiore. Solo allora il marasma della mia esistenza diveniva limpido e pacifico, e dentro di me incalzavano nuova forza e gaiezza. Sorridevo di me stessa e di tutto ciò che mi era intorno, perché era proprio in quell'attimo che il mio essere e quel mondo erano semplicemente e splendidamente eterei. Martina. 

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